La Gioia Spontanea
Ho trascorso molto tempo dell’infanzia in compagnia di mia nonna.
Una nonna che cantava con gioia e che mi ha trasmesso in modo spontaneo il piacere del canto condiviso.
Mia nonna era emiliana, si era laureata in farmacia nel periodo fra le due guerre. Nei suoi racconti si intrecciavano le storie coraggiose dell’Emilia partigiana con quelle legate alla cura degli altri, in tutto ciò che umanamente comportava essere farmacisti a quel tempo.
La sua luminosa voce argentina, fra canti e racconti, ha abbellito la mia infanzia.
La gioia del canto e la cura degli altri sono state una radice preziosa e vitale che, grazie a lei, ho condiviso con istinto e spontaneità.
A Genova, mia città natale, ho trascorso intere serate attorno al pianoforte, con mio fratello e mia sorella, a cantare canzoni provenienti da diverse parti del mondo, mentre mio padre suonava. Univamo le nostre voci attraverso giochi ritmici e polifonie. Questi momenti di condivisione sono stati per me i più bei momenti di vita familiare.
Il piacere dell’intreccio vocale e l’attrazione verso canti capaci di evocare immagini di culture diverse sono stati un’altra profonda radice che si è in seguito sviluppata, nella mia ricerca e nel lavoro, come un gioco vivo ed entusiasmante.
Gli studi del liceo artistico sono stati caratterizzati da due indimenticabili insegnamenti di fondo da parte dei miei maestri: la non competizione e la non alimentazione della vanità.
Si lavorava in gruppo con grande spirito di collaborazione, integrando le diverse qualità creative, senza sviluppare la voglia di possesso per l’oggetto creato o l’identificazione con esso. A volte i lavori venivano distrutti non appena completati, per non alimentare il senso d’attaccamento, il che mi ha fatto capire presto che la creatività è soprattutto una dimensione interiore da perfezionare continuamente e che, pur traducendosi nel risultato momentaneo di un’opera, è un flusso in continua trasformazione nella vita dell’artista.
Quando, molti anni dopo, incontrai alcuni monaci tibetani che,
dopo aver lavorato per giorni alla costruzione di un bellissimo
mandala disegnato con sabbie colorate, distruggevano l’opera
appena creata spazzandola via ad indicare il senso d’impermanenza
delle cose, mi resi conto con ancora più chiarezza dell’importanza
che aveva assunto per me l’insegnamento dei maestri del liceo.
Avevo così integrato il valore del processo creativo al di là
dell’oggetto materiale, che si era naturalmente connaturata in me la
scelta del canto, con le sue qualità inafferrabili e invisibili, come
veicolo ideale per l’Arte della vita.
Nel frattempo la mia attività d’insegnamento è proseguita intensamente in Italia
e all’estero aprendosi a diversi contesti creativi, intrecciando collaborazioni con
altri ricercatori sia in ambito artistico che terapeutico.
Entusiasmante per me è sempre stata l’esperienza di ascoltare-accogliere, durante tutti
questi anni, miriadi di voci: femminili, maschili, di bambini, anziani, adolescenti,
di culture differenti, di personalità diverse, nei luoghi più impensati...
Nei templi, per strada, nei teatri, nelle tante sale di lavoro, nelle scuole in Burkina Fasu, in polverosi treni indiani, sulle montagne nepalesi, nelle cucine disadorne di umili cantanti ungheresi, nelle botteghe di mercanti in Iraq,
sotto alle grandi tende durante le festose ritualità in Tibet...
Ascoltare sempre emozionandosi dell’anima.
I viaggi alla ricerca dei canti si alternavano a periodi in cui ritrasmettevo ciò che avevo appreso tramite un personale percorso pedagogico.
Nel 1992 è nata la Scuola Popolare di Musica Ivan Illich di Bologna.
All’inizio della sua fondazione eravamo circa 18 giovani insegnanti.
Un’impresa creativa entusiasmante dove, con grande gioia e serietà,
si rifletteva costantemente sulla dimensione didattica della scuola
affinché si generasse un vivo spirito musicale.
La grande condivisione e la qualità artistica erano l’obiettivo
congiunto.
Importanti occasioni d’incontro fra moltitudini di voci di diverse culture sono stati i bellissimi festival “Voix de Femmes” di Liegi dove ancora oggi, quasi ogni anno, si radunano donne cantanti di differenti paesi del mondo per confrontarsi sulle loro forme di vocalità e trasmettere canti di tradizione. Una fucina creativa ricca di personalità differenti che cercano di incontrarsi senza rivendicare diritti di superiorità canora.
Inizialmente, nei primi anni ’90, il confronto culturale e pedagogico fu delicato perché per alcune cantrici era la prima volta in cui incontravano forme di vocalità così diverse dalla propria.
Si trattava per loro di comprendere e accettare l’esistenza di una voce diversa dal modello con cui si erano sempre sentite identificate.
Personalmente, fu l’autenticità che accomunava tutte queste donne provenienti da diverse parti del mondo che mi permise di vivere la profonda esperienza di attraversare i tanti percorsi della voce da loro proposti, estremamente diversi, senza sentirli come contraddittori.
La curiosità, l’anima, il cuore, la dignità, la forza della vita, erano le parole che nella babele delle tante lingue risplendevano più di altre.
Questo era ciò che contava.
Con il Teatro della Voce si trascorreva molto tempo ad affinare l’ascolto, a improvvisare con le voci, ad imparare e scambiare canti di diverse culture, a condividere l’insegnamento durante i seminari. Per anni ho preferito non effettuare registrazioni delle nostre improvvisazioni vocali affinché potesse svilupparsi una concentrazione nel “qui ed ora” data dall’ascolto del presente vivo senza alcuna invadenza tecnologica.
La dimensione che cercavamo era più rituale e immanente piuttosto che legata alla manipolazione di un materiale registrato. In seguito siamo passati ad integrare un linguaggio più teatrale intrecciandolo alla precisione dell’ascolto vocale che, per il Teatro della Voce, costituiva sempre il cuore della ricerca.
Alla scuola avevo la libertà di gestire i tempi delle lezioni e ciò mi
ha permesso d’intraprendere i viaggi di ricerca ogni qual volta ne sentissi la necessità con la prospettiva certa di poter trasmettere subito, al mio ritorno, ciò che ero andata a cercare.
Vivendo il canto soprattutto come arte della condivisione, il sentirmi attesa con curiosità e gioia è stata una grande forza che ha alimentato il senso di questa passione d’arte-vita.
Negli anni di studio universitario, il pensiero creativo di Gregory Bateson -straordinario studioso in vari campi del sapere- e la ricerca pionieristica in ambito pedagogico-vocale di Roy Hart sono stati di grande sostegno alla libertà del processo creativo che intuivo.
La capacità di entrambi di connettere, in modo illuminante,
sistemi corporei, culturali e filosofici attraverso una originale
visione creativa mi ha dato lo slancio per addentrarmi nella
mia passione tenendo fede all’intuito più profondo e vitale.
Animata da un instancabile desiderio di incontro con l’Altro
e della dimensione di libertà attraverso il canto, ho cominciato
gli attraversamenti e le esplorazioni dei tanti territori dell’anima
del Canto da cui ero attratta.
Arrivata a Bologna, per proseguire gli studi artistici all’accademia di belle arti e all’università, ho intrecciato all’apprendimento teorico anni di pratica teatrale e ricerca vocale.
Tutti i miei studi si sono indirizzati alle materie che ponevano al centro lo studio dell’uomo -del suo pensiero, del suo linguaggio, della sua visione artistica- in relazione alla cultura d’appartenenza; mi sono appassionata a temi filosofico-antropologici laureandomi in Filosofia del linguaggio.
All’interno della Scuola Ivan Illich, in modo progressivo e naturale, si formò un gruppo di persone con cui approfondire la dimensione creativa che portavo e così è nata la compagnia “Teatro della Voce” con cui ho condiviso anni di ricerca vocale e di creazione di spettacoli teatrali legati al canto.
Nel 2001 il Teatro della Voce si trasforma sciogliendo la compagnia in diverse forme creative. Personalmente mi dedico alla creazione di diversi spettacoli teatrali sul tema della memoria storica ponendo l’accento sulla dimensione della femminilità. “Di voce in voce” vede in scena 10 donne, dai sette ai settant’anni, raccontare e cantare momenti di gioia e di dolore della vita, correndo insieme verso la gioia di vivere “nonostante tutto”.
La mia passione per il canto vivo mi porta spesso in Andalusia, terra dove le radici del canto hanno resistito alle intemperie della guerra civile, dove l’entusiasmo per il rito del canto è ancora anima viva e tutti aiutano tutti a “partorire il canto”.
Nella primavera del 2007 nasce a Bologna, presso Procope Studio, il “Centro di Arte e Cura della Voce”.
Un luogo che ho coordinato per tre anni, dove lo spirito di condivisione attraverso i canti e la ritualità teatrale ha permesso all’anima del Canto di esprimersi liberamente.
Al centro di Arte e Cura della Voce ho condiviso l’insegnamento con alcuni artisti su diverse poetiche del canto: con Sepideh Raissadat sul canto persiano, con Francesca Cassio sul repertorio di canti delle cortigiane dell’india del Nord, con Andrea De Luca sul canto degli armonici, sulla lettura poetica, sul madrigale, con Elide Melchioni sui canti di tradizione dell’Italia e dei Balcani, con Imke Mc Murtrie sui canti di guarigione.
Nel 2011 il Centro di Arte e Cura della Voce si è trasferito a Siviglia, città amante del canto. Canto rispettato e vissuto nella bellezza della sua condivisione umana: artistica e sociale... di vita.
La Gioia Saggia
In questi anni ho ricevuto l’immenso dono di incontrare R.Pannikkar. Conoscevo e amavo la sua figura attraverso i suoi scritti e ho avuto la gioia di cantare per lui in diverse occasioni. Ricordo felicemente il concerto a lui dedicato, in sua presenza, alla chiesa dei Frari di Venezia, in occasione del quarto convegno internazionale sulla sua opera filosofica, in cui ho intrecciato canti appartenenti a diverse culture con la danza di Nuria Sala e la musica di Federico Sanesi. E gli incontri, creati con cura e generosità da Milena Carrara, a Roses e Tavertet dove ho potuto cantare ancora per lui ascoltando la sua profonda Grazia.
Raimon Panikkar è la persona più gioiosamente saggia che io abbia mai incontrato,
il suo pensiero aperto rispetto al dialogo fra le culture è illuminante.
Cantare per il suo ascolto è stato trovarsi a casa nel cuore.
La Grazia, la Forza, la Gioia, l’Entusiasmo, il Coraggio, la Fede, l’Umiltà, la Tenacia, la Pace, la Dignità,
la Semplicità, la Chiarezza e il Mistero, la Bellezza, la Trasformazione, l’Accoglienza, l’Incontro,
le Radici nel Cuore, la Nascita, l’Amore...
tutte queste dimensioni ho cercato e trovato nel canto, unione fra Arte e Vita.
Le similitudini fra rito vivo del canto flamenco e l’evento sacro del parto sono un tema centrale del mio lavoro di questi anni.
Questa ricerca mi ha portato a trasmettere gli aspetti curativo-filosofici del canto a “Philo” - scuola superiore di pratiche filosofiche di Milano - e a collaborare con un numeroso gruppo ostetriche su come il sostegno vocale e rituale possa accompagnare il momento della nascita.